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Funghi Velenosi, Chi puo dirmelo?

Un Mocologo!!!

Il micologo è un esperto qualificato in grado di riconoscere, studiare e classificare tutte le tipologie di funghi e che può svolgere attività lavorativa di consulenza, vigilanza e controllo durante la raccolta, la vendita dei funghi presso il pubblico.

istituito in Italia nel 1996, è una specifica figura professionale appositamente formata per poter svolgere la determinazione delle specie e il controllo di commestibilità dei funghi epigei spontanei ammessi alla vendita o comunque destinati all’alimentazione umana.

Come diventare esperto micologo?

Come previsto dal D.M. 686/96 Il corso ha una durata complessiva pari a 300 ore di formazione, di cui 144 ore di teoria e 156 ore di pratica ed uscite in habitat. Il requisito minimo per l’ammissione al corso è il diploma di scuola secondaria di secondo grado (scuola media superiore di durata quinquennale).

Dove controllare i funghi raccolti?

In tutte le regioni sono presenti centri che controllano i funghi raccolti( AUSL) in romagna ed esempio potete trovare gli uffici preposti al eguente link: https://www.auslromagna.it/servizi/servizi-alfabetico/schede-informative/524-funghi-dove-controllare#bagnacavallo-ispettorato-micologico

Buona ricerca a tutti:)

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Funghi Porcini: Dove puoi trovalri!

Le zone più famose dove poter trovare il fungo porcino sono la Val Taro, Val Ceno e Val Baganza. La nascita avviene intorno ai mesi di maggio e giugno per maturare e diventare visibili già nel mese di agosto. Bisognerà aspettare settembre affinchè gli esemplari di porcino raggiungano l’apice del loro splendore

Siamo a maggio, il sottobosco comincia a dare i primi funghi

Forse non lo sapevi ma esiste una APP che ti tiene aggiornato sulla crescita dei funghi porcini.

Siiiiii – Lo provata personalmente e posso dire che molto affidabile

Una APP gratuita che ti da tutte le info sull’andamento della screscita dei porcini ma non solo, con questa app puoi comprare online i permessi di raccolta.

GeoTicket Funghi in Emilia Romagna

APP geoticket sul sito ufficiale : https://www.geoticket.it/

Porcini and boletus mushrooms in a wicker basket. Autumn porcini mushrooms. Cooking delicious mushrooms from natural products.
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Tartufo cinese e nordafricano: occhio alle truffe!

Il naso si rivela un buon alleato per annusare la truffa: come il tartufo originario della Cina, infatti, anche il tartufo nordafricano è inodore e insapore.

Tuber Melanosporum Vitt.Tuber Magnatum PicoTuber Aestivum Vitt.: chi ha imparato a conoscere i nomi dei vari tipi di tartufo riconoscerà sicuramente i nomi scientifici del tartufo nero pregiato, di quello bianco e di quello estivo

Ma se vi dicessimo che esiste anche un tuber indicum? Potreste pensare che si tratta di un tipo di tartufo che ancora non conoscete: e in parte è così. Ma quello che è davvero importante sapere è che il tuber indicum è una varietà di tartufo cinese che si sta diffondendo, purtroppo, anche in Italia, insieme al tartufo nordafricano.

Perché purtroppo? Perché il tartufo cinese e quello nordafricano, che non hanno nulla a che vedere con i tartufi nostrani, sono oggetto di numerose truffe

Ma per fronteggiare un nemico, bisogna conoscerlo, giusto? E allora andiamo a scoprire le caratteristiche di questi falsi tartufi, per non farsi ingannare a causa del loro aspetto e non incappare nella cosiddetta truffa del tartufo.

Il tartufo cinese o himalayense 

Il tartufo cinese è detto anche himalayense, perché cresce da ottobre a marzo in Cina, soprattutto nelle province dello Yunnan, Sichuan e Tibet. Diversamente dai tartufi nostrani, però, il tartufo cinese viene raccolto con una zappa di ferro, a causa della durezza del terreno, e senza l’ausilio di un cane da tartufo. 

Si tratta di un metodo che risulta molto dannoso per la tartufaia e che immaginiamo farà rabbrividire i tartufai italiani e gli aspiranti tali: in Italia infatti la raccolta del tartufo avviene nel pieno rispetto del terreno, attraverso l’uso del vanghetto del tartufaio (una vanga di piccole dimensioni), cercando di danneggiare il meno possibile l’ambiente nativo del tartufo, un fungo ipogeo altamente sensibile a ciò che avviene intorno a lui. 

Tartufo cinese: quando la truffa è dietro l’angolo

Il tartufo che viene dalla Cina, inoltre, è considerato una specie invasiva. Per la coltivazione nelle tartufaie, si usano spesso delle piantine micorizzate (ovvero con il fungo attaccato alle radici). Anni fa, in una tartufaia del torinese, accadde qualcosa che mise in allarme alcuni ricercatori: venne individuato, dopo alcune analisi sul suolo e sulle radici, addirittura il DNA del tuber indicum. Cosa significa? Che qualcuno, intenzionalmente o per errore, aveva micorizzato delle piantine, poi messe a dimora, con il tartufo cinese

Dagli esperimenti in vitro, si evidenziava come il tartufo cinese fosse molto più aggressivo del nero pregiato. Questo costituisce un grave pericolo per il nostro tartufo nero. Se il tartufo cinese (o himalayense), infatti, iniziasse a invadere l’ambiente in cui cresce il nostro tartufo, potrebbe causare una diminuzione della produzione del tartufo nostrano o addirittura un’ibridazione tra varietà. Questo porterebbe con sé un grave problema di inquinamento della qualità originaria del tartufo italiano, oltre che un serio danno ecologico ed economico. 

Per questo motivo, i controlli di qualità sull’analisi del DNA delle piantine micorizzate  e del terreno sono fondamentali, per evitare questo pericolo e salvaguardare l’eccellente qualità del tartufo nostrano.

Tartufo cinese o himalayense vs tartufo nero pregiato: attenti alle truffe

È molto facile confondere, a una prima occhiata, un tartufo cinese con un tartufo nero pregiato: questo perché il tuber indicum somiglia straordinariamente, per l’aspetto del peridio, al nostro tartufo nero di Norcia. E quindi, come si può distinguerli? Facendo attenzione ad alcuni aspetti particolari. 

Entrambi, come dicevamo, si somigliano esternamente, ma il tartufo originario della Cina sembra più liscio e gommoso al tatto del tartufo nero pregiato (che invece si presenta coriaceo all’esterno).

Inoltre, anche a livello di gleba possiamo riscontrare, soprattutto al microscopio, delle differenze importanti: il tartufo nero pregiato ha una gleba scura, ricca di venature bianche e fitte; quella del tartufo himalayense, invece, è più tendente al beige/grigiastro (si scurisce con la maturazione) e ha venature poco fitte, che tendono piuttosto al rosa pallido.

Tartufo cinese

Tartufo cinese: come riconoscerlo (e quindi evitarlo)?

Oltre all’osservazione minuziosa della gleba e del peridio, un segreto per riconoscere un tartufo cinese è usare… il naso: questo tartufo, infatti, a differenza del nostro nero pregiato, è assolutamente inodore (e insapore). 

Attenzione, però: se tenuto vicino ai veri tartufi neri, può assorbirne il profumo e mantenerlo per qualche ora. Spesso infatti, i truffatori mescolano i tartufi cinesi ai veri tartufi neri pregiati per permettere ai primi di assumere il profumo del tartufo nero pregiato. È consuetudine di chi mette in atto la truffa del tartufo, poi, usare anche delle sostanze chimiche, per conferire al tartufo che viene dalla Cina, e la cui commercializzazione, lo ricordiamo, è vietata per legge, lo stesso profumo di quello nero. 

È anche questo che può trarre in inganno i compratori inesperti: ingannati dall’odore, si illudono di comprare magari il tartufo nero di Norcia; ma dopo qualche ora, una volta a casa, hanno un’amara sorpresa e scoprono di aver acquistato, al posto di un tartufo nero pregiato, un tartufo cinese inodore e insapore

Per questo motivo è importante conoscere le differenze tra i due tipi di tartufo e, insieme alla prova olfattiva, osservare attentamente (anche al microscopio) il peridio e la gleba dei tartufi che stiamo per comprare. Soprattutto se ci si trova di fronte a una partita di tartufi venduti a un prezzo stranamente irrisorio, quindi sospetto, che potrebbe far pensare a una truffa

Il tartufo nordafricano e il bianchetto

C’è un’altra varietà che rischia di fare incappare chi si accinge a comprare un tartufo fresco in una truffa. Stiamo parlando del tartufo nordafricano, detto anche tartufo della sabbia, che commercianti senza scrupoli spacciano per il nostrano tartufo bianchetto o addirittura per un bianco pregiato. Anche in questo caso, il tartufo nordafricano somiglia molto al bianchetto o al bianco pregiato – a seconda della zona di raccolta – sia per quanto riguarda la gleba (nocciola con venature bianche) che il peridio. 

Come fare, dunque, per non cadere in un’altra truffa del tartufo? Come per il tartufo cinese, bisogna osservare bene il colore del peridio, che nel bianchetto maturo diventa rossastro/ruggine, e quello della gleba, che tende al marrone con venature avorio. 

Anche in questo caso, il naso si rivela un buon alleato per… annusare la truffa: come il tartufo originario della Cina, infatti, anche il tartufo nordafricano è inodore e insapore. Il tartufo bianchetto, invece, emana un profumo forte, che tenderà a ricordare le note dell’aglio e del piccante. 

Insomma, il modo migliore per non incappare nelle truffe del tuber indicum e del tartufo nordafricano è affidarsi solo ad aziende note per la loro serietà e il loro impegno, diffidando da chi offre tartufi a prezzi troppo convenienti; nel caso si voglia comprare un tartufo fresco a una fiera, poi, è sempre consigliabile farsi accompagnare da un esperto per un consiglio fidato sull’acquisto.

Articolo creato da :

TRIVELLI Tartufi

Strada Bivio Agelli,86
Roccafluvione (AP), 63093 Italia

T: +39 0736 365407
+39 0736 365838
E: info@trivellitartufi.it

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La grande truffa dell’olio al tartufo

E’ vero che non si può fare un olio aromatizzato al tartufo utilizzando il prezioso tubero? E’ vero che l’olio al tartufo può essere prodotto solo chimicamente?

Come vi ho raccontato nel Podcast 35, Il mercato degli oli aromatizzati si sta pian piano espandendo e dagli iniziali peperoncino, limone e tartufo oggi sugli scaffali del supermercato si possono trovare una quindicina di aromi tra cui funghi, burro, liquirizia, zenzero, in confezioni piccole e pratiche.

Oggi vi parlerò del re degli aromatizzati, probabilmente il più venduto, quello che almeno una volta nella vita abbiamo volontariamente o involontariamente utilizzato: l’olio aromatizzato al tartufo.

Innanzitutto vediamo cos’è un tartufo. Anche se chiamato comunemente “tubero”, il tartufo è il cosiddetto “corpo fruttifero” e cioè il gambo, il cappello, e le lamelle di un fungo che cresce sottoterra; appartengono quasi tutti al genere Tuber, da cui probabilmente nasce la confusione.

I tartufi sono funghi simbiotici e vivono a stretto contatto con le radici di alcune piante, le querce per esempio, traendone benefici reciproci.

Un po’ come i porcini fanno con i castagni.

Ne esistono più di sessanta specie, di cui circa la metà sono in Italia; solo una decina sono utilizzati per il consumo e vengono solitamente divisi per colore (bianco – nero) e per provenienza (Alba, Norcia,..).

La varietà più pregiata bianca è il Tuber Magnatum Pico (comunemente tartufo bianco d’Alba); la più pregiata varietà nera è il Tuber Melanosporum Vittadini (comunemente tartufo nero pregiato di Norcia).

Tutti i tartufi emanano un tipico profumo penetrante e persistente, che si sviluppa a maturazione avvenuta e che ha lo scopo di superare la barriera del terreno per attirare gli animali selvatici che devono spargere le spore contenute e continuare la specie.

In natura l’aroma del tartufo può essere composto da oltre 40 componenti che normalmente non si trovano nella maggior parte dei prodotti esposti sugli scaffali dei supermercati perché utilizzano un aroma ottenuto in laboratorio per via sintetica.

Gli studi gas-cromatografici hanno dimostrato che fra i numerosi composti odorosi esalati dai tartufi, i responsabili del particolare aroma – il cosiddetto “aroma d’impatto” – sono composti dello zolfo, in particolare: in quello bianco il bis(metiltio)metano, in quello nero il dimetil solfuro.

Noi focalizzeremo la nostra attenzione sul bismetiltiometano, la molecola che caratterizza quasi il 90% dell’aroma nel tartufo bianco: proprio per questo motivo è l’agente chimico maggiormente selezionato in laboratorio perché è in grado da solo di conferire al prodotto a cui lo si aggiunge un profumo e un sapore che imitano al 90% quello naturale.

Attenzione: per anni si è detto alle persone di individuare il buon tartufo dall’intensità dell’odore.

Nulla di più sbagliato perché di fronte a una nota più forte di bismetiltiometano si finisce per credere di avere tra le mani un tartufo di maggiore qualità e l’assenza di leggi che vietino di applicarlo agli alimenti, ha fatto sì che ci siano in commercio tartufi aromatizzati… al tartufo!

Il Flavour, come ho più volte spiegato nei precedenti podcast, deriva da alcuni composti chimici presenti nei prodotti alimentari che conferiscono una precisa caratteristica sensoriale.

È frutto della combinazione di odore, gusto e sapore.

Spesso l’industria alimentare interviene aggiungendo aromi di sintesi che integrano o sostituiscono il sapore magari perso durante la lavorazione industriale o magari non aggiunto naturalmente perché troppo costoso o non disponibile.

Succede con moltissimi dei prodotti in commercio: per esempio nel caso della fragola si usa il furaneolo, per la cipolla il disolfuro di allilpropile, per il prezzemolo l’apiolo.

D’altronde se pensiamo che a fronte di 12.000 tonnellate di vanillina solo 120 tonnellate provengono dalle bacche e la restante parte è sintetizzata in laboratorio… e 120 tonnellate non basterebbero nemmeno per la richiesta dei cioccolatai italiani.

Torniamo alla domanda iniziale: si può fare l’olio aromatizzato al tartufo usando il prodotto fresco?

Si, certamente, con prodotto freschissimo e pulitissimo (si possono rimuovere i residui di terra con uno spazzolino da denti): grattugio il tartufo e lo verso nell’olio a temperatura ambiente e lo imbottiglio; lo lascio riposare per un paio di giorni affinché si insaporisca bene e poi lo utilizzo.

Ricordate che è fondamentale utilizzarlo entro e non oltre i successivi 5/7 giorni e non andare più in là con la conservazione perché potrebbe essere pericoloso (ascolta il podcast 35 per avere tutti i dettagli).

E questa impossibilità di lunga conservazione ci fa capire che non è possibile produrre olio aromatizzato al tartufo naturale da vendere sugli scaffali del supermercato. 

Si potrebbe obiettare: ma in commercio ci sono oli con scaglie di tartufo all’interno. Oppure: si potrebbe essiccare il tartufo e usarlo per aromatizzare l’olio.

Si, è vero, si possono fare queste cose, ma il tartufo si comporta un po’ come una patata (sto semplificando molto): nella disidratazione perde quasi tutti i suoi componenti aromatici e quindi l’effetto è più scenografico che altro.

Quasi sempre nei prodotti confezionati dove viene inserita una minima dose di tartufo si fa un trattamento con una generosa  quantità di aroma di sintesi prima della liofilizzazione: il costo per il produttore è di pochi centesimi di euro, perché si scelgono scarti di tartufo estivo poco pregiato, e il risultato è garantito perché  il consumatore è convinto di  acquistare un “olio al tartufo” ed è disposto a pagare molto più rispetto al costo di un olio privo di scaglie di tartufo disidratato.

Un test che si può fare – senza valenza scientifica, ovviamente – è quello di sfregare il pezzetto di tartufo su un pezzo di patata o anche su un po’ di pasta (penso a quelli per esempio che si trovano nelle confezioni di riso, che è facile usare per la prova).

Se prenderanno l’odore e il sapore del tartufo, si tratterà molto probabilmente di bismetiltiometano.

In caso contrario, potremmo essere ragionevolmente sicuri di mangiare solo tartufo vero.

Alcuni analisti sensoriali hanno poi constatato che quando si tratta di bismetiltiometano, si percepisce un leggero pizzicore accompagnato da un retrogusto insistente, a volte pungente.

È quindi fondamentale leggere dapprima l’etichetta: se c’è scritto “prodotto contenente aroma” o la semplice parola “aroma” vuol dire che all’interno c’è una sostanza ottenuta in laboratorio; se invece c’è scritto “aroma naturale di tartufo” il componente è realmente estratto dal tartufo.

Questo aroma può essere realmente estratto dal tartufo, ma con costi davvero elevati.

È molto più semplice, economico e preciso produrlo in laboratorio a costi decisamente inferiori, partendo per esempio dal petrolio.

Questo ha fatto sì che molti si sono accanititi su una presunta pericolosità di questo prodotto, cosa peraltro non vera, invece di sottolineare il vero problema: oltre a mangiare oli al tartufo all’interno dei quali non vi è presente tartufo, spesso si consumano ottimi tartufi ai quali viene aggiunto, in moltissimi ristoranti, del bismetiltiometano, per aumentarne l’odore: la tendenza dei ristoratori ad acquistare un prodotto di bassa qualità da usare a scopo puramente decorativo, correggendo poi il sapore con un po’ di olio con un aroma di sintesi è una prassi che sta iniziando a prendere piede.

ll bismetiltiometano, è bene sottolinearlo, è un componente chimico che non fa male, non è pericoloso o cancerogeno, o per lo meno non lo è più di quello contenuto all’interno del tartufo naturale.

E’ classificato tra le sostanze aromatizzanti “natural identiche”, è utilizzabile in tutti gli alimenti non essendo presente in alcun elenco limitativo ed è stato riconosciuto come sostanza sicura nella catalogazione americana.

Nonostante moltissimi raccoglitori e consorzi di tutela stiano puntando sulla sua pericolosità, in realtà non ci sono prove scientifiche nette e chiare sulla nocività del bismetiltiometano. 

Capita a volte che, dopo averne fatto uso, alcune persone stiano male di stomaco. E’ probabile che ciò sia dovuto al vettore e alla quantità: per esempio olio d’oliva di pessima qualità al quale viene la molecola chimica viene aggiunto in quantità che periodicamente diventano sempre più alte.

Alcuni studi scientifici hanno dimostrato che la sensazione di pesantezza (quando si continua per ore a sentire nello stomaco il sapore del tartufo) lasciata dall’olio aromatizzato possa dipendere anche dal modo in cui il bismetiltiometano viene sintetizzato in laboratorio.

Esiste un metodo scientifico per verificare eventuali frodi, messo a punto in Italia dal gruppo di ricerca coordinato dal professor Luigi Mondello (Università di Messina, Pisa e Roma), che, isolando dal tartufo bianco naturale il bis(metiltio)metano ha scoperto che contiene carbonio-12 e carbonio-13 in un rapporto unico, determinato dall’ambiente in cui il fungo è cresciuto.

Anche la versione chimica contiene un rapporto del carbonio unico, ma è determinata dalle origini delle materie prime con cui è stato sintetizzato, e quindi diverso da quello del prodotto fresco.

La ricerca ha mostrato che i tartufi bianchi naturali hanno una percentuale maggiore di carbonio-13 rispetto all’aroma del prodotto di sintesi, una differenza abbastanza importante, facilmente distinguibile tra i due prodotti.

Non voglio qui demonizzare questo tipo di condimento, ci mancherebbe.

Voglio solo far capire che la fotografia di uno stupendo tartufo bianco in etichetta non garantisce che all’interno ce ne sia e se nella bottiglia trasparente (che sappiamo quanta ossidazione produce all’olio) intravedo qualche pezzettino di tartufo è con tutta probabilità un economico e poco saporito scorzone estivo, messo per dare nobiltà al prodotto unitamente ad alte quantità di bismetiltiometano, per dare al preparato quell’odore fortissimo di tartufo.

Aticolo redatto da : Gocce d’Olio
v. 2 Giugno 11
24065 Lovere BG
PI: 02358690160
+39 035 983 400
oliveoildrops@gmail.com

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La tartuficoltura

Il tartufo è un prodotto spontaneo del sottobosco, ma è possibile anche coltivarlo. In questo caso si parla di tartuficoltura. Qui le informazioni utili

Il tartufo è un prodotto spontaneo del sottobosco, che in Emilia-Romagna si ricerca e raccoglie in molte zone ed in vari periodi dell’anno. È però possibile, a certe condizioni, coltivare il tartufo in una determinata area (tartufaie coltivate), oppure intervenire per migliorare la produttività di un’area già vocata alla produzione tartuficola (tartufaia controllata).

Qui le informazioni utili su tartufaie coltivate e tartufaie controllate, per capire chi può richiedere l’autorizzazione ad intervenire, come si gestiscono le tartufaie e a chi rivolgersi.

Tartufaie coltivate

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La coltivazione del tartufo in Nuova Zelanda

Le ricerche sulla coltivazione del tartufo nero (Tuber melanosporum) in Nuova Zelanda iniziarono nella metà degli anni 80’. Per motivi di quarantena non fu possibile importare piante micorrizate dall’Europa così si iniziò a produrle in loco, avendo cura di evitare qualsiasi contaminazione con funghi ectomicorrizici estranei.

La coltivazione del tartufo in Nuova Zelanda. Annales confederationis Europaea Mycologiae Mediterraneensis. XII Giornate Micologiche della CEMM, Norcia 7-13 novembre 2004. Unione Micologica Italiana ed., Bologna

ZAMBONELLI, ALESSANDRA;BONUSO, ENRICO;IOTTI, MIRCO; 
2004

Le ricerche sulla coltivazione del tartufo nero (Tuber melanosporum) in Nuova Zelanda iniziarono nella metà degli anni 80’. Per motivi di quarantena non fu possibile importare piante micorrizate dall’Europa così si iniziò a produrle in loco, avendo cura di evitare qualsiasi contaminazione con funghi ectomicorrizici estranei. Il primo tartufo fu trovato il 29 luglio 1993, in una tartufaia coltivata di cinque anni situata vicino a Gisborne, nella costa est dell’isola del nord. Attualmente in Nuova Zelanda ci sono sette tartufaie in produzione e sono state realizzate più di cento tartufaie di T. melanosporum sparse in tutto il paese.

Si stanno inoltre conducendo ricerche sulla coltivazione di Tuber aestivum, Tuber borchii e di altre specie di funghi ectomicorrizici eduli di potenziale interesse economico.

Ringraziando

Tutti gli autori

UNIBO.IT

Zambonelli A.; Bonuso E.; Iotti M.; Hall I.R. .

link a questo documento:

https://hdl.handle.net/11585/47131

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PROVA DI CERCA DEL TARTUFO tipo “A”

Domenica, 26 febbraio 2023

PROVA DI CERCA DEL TARTUFO tipo “A” – con rilascio di CAC

– PROVA RISERVATA ALLA CLASSE GIOVANI E LIBERA –
batterie miste maschi-femmine

PRATA DI PRINCIPATO ULTRA

Si possono iscrivere alla prova massimo n.ro … in classe Libera e … in classe Giovani

Località ACQUAVITARI 

Ritrovo presso Bar “Chocolate”
Viale dei Fiori, 3, 83030 Prata di Principato Ultra AV

Valida per il Campionato di Lavoro E.N.C.I.
Valida per il Campionato Sociale di Lavoro C.I.L.
Valida per il Campionato Regionale – Sud

Su Tuber moscatum (tartufo moscato) in tartufaia naturale


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Il Prof. Pacioni Giovanni scopre una nuova specie di tartufo

Si tratta del Tuber Suave, rinvenuto nella provincia de L’Aquila e spesso scambiato per il Tuber Uncintum.

Ripubblico volentieri questo articolo dell’amico Giovanni che è sempe presente alle domande e interrogativi di noi comuni tartufai nel determinare ritrovamenti delle nostre uscite . Grazie Giovanni

Di seguito l’articolo scientifico pubblicato sulla prestigiosa rivista “Jounal of Fungi”.

jof-07-01090-T.mesentericum-group

Fonte :https://www.pacioniconsulenze.com/chi-siamo/

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PROVA DI CERCA DEL TARTUFO tipo “A”

Domenica, 12 febbraio 2023

PROVA DI CERCA DEL TARTUFO tipo “A” – con rilascio di CAC

– PROVA RISERVATA ALLA CLASSE GIOVANI E LIBERA –
batterie miste maschi-femmine

Località San Donnino – AREZZO

Si possono iscrivere alla prova massimo n.ro 30 in classe Libera e 30 in classe Giovani

Ritrovo presso campo gara

Valida per il Campionato di Lavoro E.N.C.I.
Valida per il Campionato Sociale di Lavoro C.I.L.
Valida per il Campionato Regionale – Centro

Su Tuber Borchi Vittadini (tartufo bianchetto) in tartufaia naturale

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Il manuale del ricercatore di tartufi

Il manuale è destinato a promuovere la conoscenza del tartufo in Lombardia, risorsa per molti aspetti ancora non bene conosciuta anche fra gli appassionati.

Il manuale, con dati riferiti al giugno 2009, fornisce le seguenti informazioni:

  • estratto della legislazione statale e regionale;
  • estratto della carta delle vocazioni e potenzialità tartufigene della Lombardia;
  • schede descrittive delle varietà dei tartufi;
  • indicazioni sul consumo e la conservazione dei tartufi freschi.

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Allegati