I Pericoli del Tartufaio
Ho voluto creare queste pagine per sensibilizzare tutti coloro che frequentano i boschi, e possano essere di aiuto nell’affrontare una escursione a tartufi immersi nella natura.
Andare a tartufi in spensieratezza accompagnati dai nostri amici cani sempre in allerta a sentire nell’aria il minimo effluvio odoroso di tubero, spesso ci induce inconsapevolmente ad abbassare la guardia.
L’ambiente dove si celano i tartufi è spesso impervio, nei boschi vivono svariate forme di vita animale e vegetale, alcune di esse possono dare luogo a spiacevoli conseguenze.
In Italia per fortuna non esistono animali e insetti, né tanto meno piante, potenzialmente letali per l’uomo.
Per fortuna sono rari i casi dall’epilogo tragico, la pericolosità dei veleni inoculati, aumenta in proporzione a vari fattori :
1° la quantità di veleno inoculata
2° la massa corporea del malcapitato
3° reazione allergica del soggetto colpito.
Come l’uomo anche il cane per istinto cerca di non mettersi mai nei guai, a volte capita però che il cane concentrato a seguire l’effluvio di qualche tartufo abbassi la guardia, e incappi involontariamente sul muso di vipere o scorpioni o altri insetti pericolosi; anche i nostri cani sono potenzialmente esposti a questi rischi!
Stare sempre attenti a dove si mettono le mani e i pedi, tenere controllato il cane a vista per evitare che si cacci in qualche guaio, sono le regole principali per abbassare i rischi.
Nelle tabelle sono riportati i nomi degli animali, insetti e piante potenzialmente velenosi che possiamo trovare andando per tartufi, inoltre ho voluto inserire anche l’uomo fra gli animali pericolosi, spargimenti di bocconi avvelenati, rifiuti di vario genere gettati ovunque, fanno si che la principale causa del pericolo sia proprio la razza umana.
Clicca su i singoli nomi per accede la scheda descrittiva.
L’uomo | Le Esche avvelenate | I Serpenti | I Ragni |
Le Vespe | Gli Scorpioni | Pulci e Zecche | Le piante |
I Topi | Bruchi/Larve |
L’uomo
Sempre piu’ spesso è l’uomo con le sue azioni a provocare i pericoli maggiori, basti pensare alle esche avvelenate che per vari ed ingiustificati motivi utilizza, ai rifiuti di vario genere gettati ovunque, al dissesto del territorio con il taglio ingiustificato di alberature, queste azioni mosse non sicuramente dall’istinto,posizionano la razza umana al primo posto degli esseri viventi piu’ pericolosi del pianeta.
Tartufando nel bosco
Al tartufaio che frequenta il bosco, gli sarà sicuramente capitato di incontrare scene di degrado.
I pericoli maggiori, sono i materiali che col passare del tempo vengono coperti dalla vegetazione, dal substrato ed infine inglobati nel terreno,i piu’ pericolosi sono:
- Lattine ferro e lamiera
- Frammenti di vetro e porcellana
- Lamette da barba
- Siringhe.
Durante lo scavo di un tartufo possiamo inavvertitamente trovare questi materiali ben nascosti nel terreno, generando situazioni veramente pericolose.
Personalmente mi è capitato di trovare dei frammenti di vetro e una lamette da barba, inglobati nel substrato ben al disotto dello strato di humus, in un avallamento circondato da pioppo bianco a notevole distanza dalla strada, per fortuna stavo cercando il bianco pregiato, dando di abitudine il ferma al cane ho scongiurato il peggio per lui, la temperatura era molto rigida ad io indossavo i guanti, fortunatamente la lametta a lacerato solamente il guanto.
Se ci troviamo tartufando in una zona dove la presenza di rifiuti e visibile, non essendo ancora stata ricoperta dalla vegetazione, sarà buona norma aprire bene gli occhi tenendo controllato il cane a vista.
I nostri cani sono i primi ad essere esposti al pericolo dai rifiuti gettati nei boschi da personaggi ignobili, il cane individuato il tartufo inizia ad esercitare lo scavo sulla parte superficiale del terreno, che solitamente ospita la gran parte di rifiuti pericolosi,purtroppo capita che si verificano degli incidenti, nei casi piu’ significativi si sono verificate importanti lesioni ai polpastrelli.
Detto questo non voglio allarmare nessuno, ma sensibilizzare chi frequenta i boschi a stare in guardia ed eventualmente segnalare alle autorità, la presenza di rifiuti pericolosi, come amianto e materiali liquidi contenuti in fusti, carcasse di animali da allevamento.
SERPENTI
Spesso quando si incontra un serpente, non lo si sa riconoscere, e malgrado le brevi descrizioni che seguiranno, il compito di identificazione viene complicato dalle numerose variazioni di colore della livrea di questi rettili, che può variare notevolmente nel seno della medesima specie.
Se un serpente non viene disturbato, molestato o minacciato non verrà mai ad attaccarci o aggredirci. Generalmente la gente, che si fa mordere da uno di questi rettili, ha tentato di catturarlo, di ucciderlo o ha messo le mani tra pietre o cespugli senza accorgersi della presenza del serpente che, sentendosi minacciato, ha reagito come lo farebbe chiunque davanti ad un pericolo.
In primavera durante la stagione del tartufo nero(tuber aestivum) i serpenti vanno in amore, in questo periodo sono piu’ distratti, il rischio di fare brutti incontri aumenta, dato dal fatto che il serpente non sempre si accorge della nostra presenza o di quella dei nostri cani.
La miglior cosa e restare con gli occhi bene aperti, controllando noi stessi e i nostri cani.
Il morso delle vipere, contrariamente a quanto si crede, non è mortale, se non per soggetti deboli, per i bambini piccoli o quando è inferto direttamente in un grosso vaso sanguigno. Tuttavia è ottima precauzione, quando si passeggia nei boschi o nelle campagne, portare calzoni lunghi, scarpe alte e un bastone con il quale muovere cespugli ed erbe
Se ci si fa mordere da un serpente, che non si è potuto identificare, bisogna tener presente che il morso della vipera provoca un dolore locale abbastanza intenso e dei gonfiori, mentre quella dei colubri procura unicamente delle piccole escoriazioni. Il morso di vipera, oltre ai dolorosi effetti locali, può causarci una sensazione di malessere, diarrea e una caduta di pressione
Come riconoscerli
In un primo tempo possiamo dividere i nostri serpenti in due famiglie:
I colubri, che da noi si riconoscono dalla pupilla rotonda, dal corpo relativamente affusolato e dalla coda piuttosto lunga.
I serpenti di questa famiglia hanno una dentatura aglifa, cioè non hanno zanne velenifere ed uccidono le loro prede per costrizione (soffocandole) oppure, alcune prede quali pesci e rane, vengono ingoiate vive.
i viperidi hanno una pupilla più alta che larga (un po’ come quella del gatto), un corpo piuttosto tozzo e una coda corta. Le vipere hanno due zanne poste anteriormente sulla mascella superiore, che sono in grado di iniettare nelle prede il veleno prodotto da apposite ghiandole
Vipera comune velenoso
Il corpo è piuttosto tozzo e corto, lungo circa 60-70 cm. Il capo è triangolare e appiattito, con il muso leggermente ricurvo verso l’alto ed è inoltre ricoperto da piccole scaglie. Presenta sul dorso una caratteristica fascia scura a zig zag. Il colore del dorso è grigio cenere con due strisce nere sulla nuca a forma di v rovesciata. La coda è corta, appuntita, con apice colorato ventralmente in arancione. La pupilla è ellittica e verticale anziché rotonda. Il suo morso velenoso è mortale anche per l’uomo.
FOTO vipera comune
Il marasso velenoso
Vive nelle zone dell’Italia settentrionale, presenta una ben marcata striscia a zigzag dalla testa alla coda. E molto più aggressivo della vipera comune, ma il suo veleno è meno pericoloso. È un specie diurna, specialmente nelle regioni settentrionali, mentre nelle regione meridionali può essere attiva anche la sera e la notte durante il periodo estivo.
Segni dai denti di serpente dopo il morso
In caso di morso di vipera, sulla pelle sono ben evidenti due forellini distanziati di circa 6-8 mm, da cui fuoriesce sangue misto a siero, circondati da un alone rosso
Vipera comune Biscia comune
Biacco :volgarmente chiamato Magnano non velenoso
A differenza della biscia d’acqua è aggressivo e, se catturato, si avventa mordendo furiosamente, ma non è velenoso. La colorazione della parte superiore è verde-giallasta o nera. La sua lunghezza può variare da 80 a 200 cm. Si nutre di lucertole, serpi e topi.
Modo di attacco del Magnano: si avventa contro la vittima attaccando con tutto il corpo , che usa come frusta. Se inseguiti da questo serpente allontanarsi a zig zag , da evitare la fuga in linea retta in discesa.
Saettone: non velenoso
La sua lunghezza varia da 50 a 200 cm.
La livrea è, superiormente, di colore marrone chiaro tendente allo scuro, inferiormenrte è gialla.
Si nutre di ghiri, lucertole, di uova e nidiacei che uccide per costrizione.
Cervone: non velenoso
La sua lunghezza può arrivare fino a 200 cm; il dorso è bruno-giallastro con quattro bande parallele scure e longitudinali che vanno dalla testa alla coda; il ventre è giallo-paglierino. Nella testa si nota una banda scura, dall’occhio alla connessione della bocca. Si nutre di topi, arvicole, ghiri, leprotti, donnole, lucertole e uccelli.
Ragni
Ragno dal sacco giallo
Nome scientifico: Cheiracanthium punctorium (Villers, 1789)
Nomi comuni: Cheiracanzio, ragno-sacco, ragno dal sacco giallo.
Una specie dello stesso genere, segnalato come diffuso in Italia è C.mildei (L.Koch, 1864). La tossicità del veleno per questo aracnide, come per tutti gli altri ascivibili al genere Cheiracanthium può essere considerata paragonabile a quella di C.punctorium.
Distribuzione: Italia e isole (in particolare Veneto, Emilia Romagna, Calabria e Toscana). Non è un ragno sinantropo anche se sono stati segnalati casi di maschi erranti all’interno delle abitazioni in cerca di femmine.
Habitat: Vive prevalentemente nei prati, prediligendo quelli umidi e caratterizzati da folta vegetazione cedevole, in grado di essere piegata per la costruzione della tana. Si può trovare anche negli orti e nei giardini.
La sua presenza è segnalata nelle tartufaie di Tuber magnatum.
Abitudini: è un aracnide molto attivo al crepuscolo, anche se si può incontrare in altre ore, specialmente nelle giornate estive non particolarmente calde. Costruisce una particolare tela “a sacco” che usa come rifugio e a fini riproduttivi, in genere su piante erbacee cresciute in luoghi umidi (ad esempio Carex sp.).
Aggressività: come la maggior parte dei ragni preferisce la fuga all’attacco ma, se infastidito nella tana, può anche diventare particolarmente aggressivo. Episodi di morsi sono stati segnalati all’interno delle abitazioni. E’ uno dei ragni italiani il cui veleno, neurotossico e citotossico, ha effetti rilevanti sull’uomo.
Rapidità di crescita: la crescita è veloce e il ciclo vitale di solito biennale. I piccoli nascono nella tarda estate, svernano e si svilupperanno solo l’estate seguente, raggiungendo lo stadio adulto intorno a giugno.
Il Ragno violino (Loxosceles rufescens Dufour, 1820) è un aracnide del sottordine Araneomorfi.
In Italia è, assieme alla malmignatta, uno dei pochi ragni temibili per il morso.
Distribuzione
Di origine mediterranea ,in Italia è presente praticamente lungo tutta la penisola.
Descrizione
Ha 6 occhi raggruppati in 3 coppie, invece che gli 8 occhi della maggior parte dei ragni. La femmina ha il corpo lungo 8-13 mm, il maschio più piccolo è caratterizzato da zampe più lunghe. Spesso sul cefalotorace è presente una macchia a forma di violino col manico che si estende verso l’addome. La tela è scarsamente usata nella caccia, per cui il ragno si allontana da questa per predare. Tipicamente il maschio si allontana dalla tela di notte per andare in cerca della femmina. Non è un ragno aggressivo e se disturbato tende ad allontanarsi.
Effetti del veleno
Il veleno ha azione necrotica sui tessuti colpiti e nei soggetti allergici può dar vita al cosiddetto loxoscelismo, con formazione di un’ulcera che può estendersi di alcuni centimetri e che, dopo trattamento medico, tende a guarire dopo parecchie settimane, lasciando al suo posto una cicatrice più o meno estesa. Il potenziale pericolo è comunque dipendente dalla localizzazione del morso. Gli effetti del veleno di Loxosceles rufescens sono simili a quelli del veleno di Loxosceles reclusa.
La malmignatta
Chiamata anche vedova nera mediterranea, detta anche ragno volterrano (Latrodectus tredecimguttatus Rossi, 1790) è un aracnide del genere Latrodectus (vedove nere) del sottordine Araneomorfi. In Italia è, assieme al Loxosceles rufescens, una delle poche specie italiane il cui morso può rivelarsi molto pericoloso per gli umani. Prende anche il nome di falange volterrana, bottone nell’alto Lazio e a nord di Roma, Arza, Argia o Alza in Sardegna e in Liguria.
Distribuzione
È diffuso in tutto il centro e sud Italia tirrenico (Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria) in Puglia e in Sardegna.
Vive in tele molto resistenti e dalla forma irregolare in zone a macchia mediterranea bassa, spesso aride e pietrose, fra sassi e muretti; molto raramente lo si può trovare nelle vicinanze delle case di campagna.
Descrizione
Il corpo, che nella femmina può raggiungere i 15 mm, è contraddistinto dalla presenza di 13 macchie rosse. Questa colorazione, esibita a scopo di avvertimento contro i predatori, rappresenta un chiaro esempio di aposematismo nel mondo animale.
Rapporti con l’uomo
Il morso della femmina, pur se meno pericoloso di quello della cugina americana (la famigerata Vedova nera- Latrodectus mactans), non è doloroso al momento ma successivamente provoca sudorazione, nausea, conati di vomito, febbre, cefalea, forti crampi addominali e nei casi più gravi perdita di sensi e talora morte; i casi mortali sono tuttavia veramente molto rari. Si segnalano 4 possibili episodi di morte in seguito ai morsi, due in provincia di Genova, avvenuti nel 1987 e due nell’alto Lazio.[senza fonte] Resta ovviamente pericoloso per i bambini perché la quantità di veleno iniettata va proporzionata alla corporatura e per il corpo di un bambino tale quantità può essere letale. In pericolo sono anche gli anziani, e gli adulti che siano indeboliti da malattia al momento del morso, in quanto un soggetto adulto non pienamente sano può non riuscire a salvarsi dagli effetti del veleno che in questi casi può essere letale. Può provocare nei soli soggetti allergici shock anafilattico, come d’altronde molte altre punture di insetti ritenuti praticamente innocui (come ad es. vespidi).
In caso d’incidente, l’unico consiglio, dettato dalla pura razionalità, su cui possiamo fare affidamento è di recarsi il prima possibile al pronto soccorso.
La taranta
o tarantola è il nome con cui nella tradizione popolare della Puglia viene chiamato un ragno comune nella regione, volgarmente detto “Ragno Lupo” (Lycosa tarantula).
La Tarantola (Lycosa tarentula), è un ragno lupo di dimensioni vistose in confronto ad altre specie presenti dalle nostre parti, per cui sicuramente di grande effetto, ma non esageratamente grande.
La nostra vera e nostrana Tarantola (Lycosa tarentula), appartiene alla famiglia Lycosidae, per cui è un ragno lupo, le sue dimensioni sono di circa 50 – 60 mm comprese le zampe, non tesse tele per catturare le sue prede, scava una tana nel terreno profonda una ventina di centimetri, tana che poi viene tappezza di seta, nella quale si apposta in attesa che nelle vicinanze passi qualche sfortunata preda (insetti o altri artropodi), ma come gli altri ragni lupo, può attaccare le sue prede anche sul terreno o nella vegetazione bassa, forte della sua eccezionale sensibilità (sente qualsiasi impercettibile movimento altrui) e velocità, dell’eccellente vista, dalla sua forza (trattasi di ragno abbastanza robusto), e del suo micidiale veleno. Il veleno della tarantola non è letale per gli esseri umani, ma il suo morso è molto doloroso, personalmente, permettetemi una battuta, penso che questo sia un’altro motivo legato alla leggenda popolare Pugliese, perché, il forte dolore dovuto al morso o in dialetto locale “pizzico” della tarantola potrebbe incentivare lo stimolo a danzare o fare salti di dolore che può trasformarsi in tarantella o pizzica. 😉
(note: nella foto è raffigurata un’ Alopecosa sp. , sempre ragno lupo stessa famiglia Lycosidae)
Autore Leonardo Melchionda
Api, vespe e calabroni
Nei boschi vivono varie specie di vespe dalle abitudini differenti, tutte hanno in comune la costruzione del nido.
Possiamo trovare questi nidi, sia fuori terra(posizionati su tronchi-rami-sassi) sia nel sottosuolo, generalmente su accumuli di terreno difficilmente inondabili.
Una minima conoscenza delle abitudini ed il comportamento di questi insetti, permette di prevenire rischi sia per noi che per i nostri cani.
Il veleno contiene ammine, peptidi ed enzimi. quello delle api principalmente istamina; quello delle vespe istamina e serotonina, quello dei calabroni anche acetilcolina
VESPE
L’ identificazione della specie è legata ai disegni posti sulla parte anteriore del capo e sull’addome, anche se non sempre sono ben definiti.
Vespa comune (Vespula vulgaris)
Il nido si compone di un solo favo rivolto verso il basso non sempre visibile, può essere posto nel terreno o nelle aperture poste negli ambienti.
La colonia è composta da pochi individui, non aggressiva, reagisce solo se il nido viene toccato in qualche modo.
La possibilità di trovare questi nidi, che a volte raggiungono dimensioni notevoli, aumenta quando la ricerca dei tartufi e fatta in ambienti esposti al sole(tartufo nero estivo), le vespe generalmente posizionano il nido a sud – sud ovest\sud est , è molto difficile trovarle in tartufaie di bianco pregiato(Tuber magnatum) che preferisce ambienti ombreggiati e ben riparati dal sole,Impossibile negli ambienti del tartufo nero pregiato (tuber melanosporum)che ha il suo periodo di maturazione in inverno.
Vespa di terra (Vespula germanica)
Il nido è spesso costruito nel terreno, non visibile è quindi facilmente disturbabile.
Sono aggressive e particolarmente pericolose a causa del numero elevato di individui per nido.
Capita che il cane segnali la presenza di tartufi a poca distanza da questi nidi, l’attività delle vespe generalmente non passa inosservata, il frenetico andirivieni ci dà la possibilità di evitare rischi richiamando il cane ed allontanarsi. Se la segnalazione del tartufo avviene la mattina presto, cioè quando le vespe non hanno ancora iniziato l’attività mattutina, la cosa può diventare pericolosa, in quanto la presenza del nido non è sempre visibile.
Calabrone (Vespa crabro) velenoso
Il nido è circa di 30-40 cm, composto da più favi sovrapposti, e posto di solito nelle cavità di grossi tronchi, a volte dentro cornicioni, cassonetti, camini e cavità nel terreno. I calabroni reagiscono solo se disturbati, ma possono inoculare una quantità superiore di veleno rispetto alle vespe, quindi sono più temibili.
Nelle ore centrali della giornata, dove l’attività del nido è a pieno regime, il ronzio di questi insetti si sente da parecchi metri di distanza, spesso i nidi sono posizionati all’interno di tronchi, il calabrone si può trovare negli ambienti dove cresce il tartufo bianco(Tuber magnatum pico).
Polistes gallicus
E’ forse la specie di vespa più diffusa e conosciuta, vista anche la sua tendenza a costruire i suoi nidi caratteristici in vicinanza delle nostre abitazioni e bene in vista. Questi ultimi vengono costruiti utilizzando “carta” prodotta impastando con la saliva particelle di carta trovate nell’ambiente o frammenti di legno recuperati raschiando oggetti di legno mediante l’apparato boccale.
E’ una vespa molto minacciosa ma non particolarmente aggressiva, che generalmente punge soltanto in casi di pericolo per il nido o se schiacciata inavvertitamente.
I nidi vengono generalmente posizionati sotto travi o cornicioni, ai quali sono assicurati con un “picciolo” sempre costituito da materiale cartaceo.
Ogni nido dura fino alla fine dell’estate, dopodichè una vespa regina va a svernare in un luogo riparato, per fondare un nido nuovo la primavera successiva.
La possibilità di trovare questi nidi, che a volte raggiungono notevoli dimensioni, aumenta quando andiamo tartufando in ambienti al sole(tartufo nero estivo), le vespe generalmente posizionano il nido a sud – sud ovest\ sud est, è quasi impossibile trovarle in tartufaie di bianco pregiato(Tuber magnatum) che preferisce ambienti ombreggiati e ben riparati dal sole.
Scorpioni
Euscorpius italicus
E’ la specie più grande presente in Italia (può raggiungere la lunghezza di 5-6 centimetri).
Si presenta di solito di colore nero, ma può variare fino al bruno, con il telson e le zampe che possono tendere al rossiccio. Non è raro che venga trovato in case, legnaie, o cantine. Gli adulti di grandi dimensioni sono abbastanza identificabili. La coda sottile (tipica delle specie, poco o niente velenosa) è tipica di tutto il genere Euscorpius. Solo la disposizione dei tricobotri, può permettere di distinguerlo dalle altre specie dello stesso genere.
E’ una specie molto diffusa in Europa. Oltre all’Italia, è presente nel Nord Europa, nei Balcani, Russia, Turchia, Grecia, Nord Africa.
Euscorpius flavicaudis
E’ una specie diffusa nell’Europa occidentale: Spagna, Francia, Inghilterra ed Italia. In Italia, sembra diffuso soprattutto nel settore occidentale e tirrenico.
Specie di grandi dimensioni (dai 35 ai 45 mm, ma sono noti esemplari più grandi), presenta un colore scuro, bruno fino al nero, con spesso il telson e le zampe più chiare, tendenti al giallo-rossastro. Ama i luoghi umidi ed è amante dei prati molto più della specie italicus. Non disdegna però vivere nei ruderi, sotto pietre e manufatti umani, ma questo avviene normalmente più a nord dell’Italia (Inghilterra ad esempio).
Per distinguerlo con certezza dalla specie italicus è necessario osservare la disposizione ed il numero dei tricobotri. Come dato accessorio, è una specie in grado di digiunare lungamente e capace di cannibalismo sia verso la propria specie sia di altre specie.
Habitat naturale
L’habitat naturale degli scorpioni italiani sono le zone umide, specialmente zone di montagna dove l’umidità è alta, sia per la presenza di corsi d’acqua o di falde acquifere; si possono trovare facilmente sotto i sassi. Le fessure delle rocce ed i vecchi muri sono per loro ottimi rifugi.
Cosa fare in caso di punture
Innanzitutto occorre sottolineare come la puntura dello scorpione avviene generalmente in maniera accidentale, casuale o per imprudenza (sollevare una pietra, mettere le mani in un anfratto, camminare a piedi nudi). Innanzitutto occorre mantenere la calma! Non bisogna applicare lacci che stringano la zona dell’arto colpito né aspirare con la bocca.
Il trattamento è generalmente sintomatico:
- immobilizzare la zona colpita,
- spremere la pelle per estrarre il veleno,
- applicare del ghiaccio (coperto da un telo per evitare danni da freddo alla cute) per attenuare il dolore.
Sarebbe consigliabile altresì contattare il centro antiveleni più vicino e identificare, se possibile, lo scorpione. Se le manifestazioni sono più gravi ma comunque limitate alla zona di puntura (dolore particolarmente intenso, gonfiore significativo) possono essere consigliati farmaci antidolorifici e antiedematosi. Se invece le manifestazioni assumono carattere generale, potenzialmente pericolose per la vita, è necessaria l’ospedalizzazione. Maggior riguardo ovviamente si deve usare nel caso in cui siano i bambini ad essere punti.
Due parole riguardo i sieri. I sieri sono specifici per ogni specie. Conseguentemente a livello nazionale non vengono forniti sieri specifici per specie che non abitano il proprio territorio. L’efficacia del siero, inoltre, diminuisce se l’iniezione è somministrata a distanza di un’ora dalla puntura dello scorpione.
Pulci e Zecche
PULCI
Nell’uomo pungono preferibilmente gli arti inferiori: un vivace prurito, la comparsa di una macchia scura, visibile per giorni e circondata da una macchia rosacea ne sono la manifestazione.
Zecche
In Italia sono presenti due famiglie di zecche: quella delle Ixodidae (zecche dure) e quella delle Argasidae (zecche molli). Le zecche dure hanno un caratteristico scudo dorsale chitinoso e in Italia comprendono 6 generi: Ixodes, Boophilus,Hyalomna, Rhipicephalus, Dermacentor, Haemaphysalis. Le zecche molli, sprovviste di scudo dorsale, sono presenti con due generi: Argas e Ornithodorus.
Le zecche necessitano di pasti di sangue per completare il loro sviluppo e ciclo riproduttivo, ma possono resistere per lunghi periodi di tempo a digiuno assoluto. La loro attività è massima, nei Paesi a clima temperato, nel periodo maggio-ottobre. Il pasto di sangue, durante il quale la zecca rimane costantemente attaccata all’ospite, si compie nell’arco di ore per le zecche molli, di giorni o settimane per le dure.
Gli Ixodidisono in grado di trasmettere all’uomo numerose e differenti patologie: la Bollesiori di lyme, l’ehrlichiosi, le febbri bottonose da rickettsiae, la tularemiaa, la febbre Q, la babesiosi e l’encefalite virale. Gli Argasidi sono vettori di patologie meno rilevanti dal punto di vista epidemiologico: febbri ricorrenti da zecche e febbre Q.
L’habitat preferito è rappresentato da luoghi ricchi di vegetazione erbosa e arbustiva, con microclima preferibilmente fresco e umido, ma le zecche possono trovarsi anche in zone a clima caldo e asciutto o dove la vegetazione è più rada. La loro presenza dipende, infatti, essenzialmente dalla presenza sul territorio di ospiti da parassitare, per questo luoghi come stalle, cucce di animali e pascoli sono tra i loro habitat preferiti.
Con l’inizio della bella stagione le zecche abbandonano, lo stato di letargo invernale e si avviano alla ricerca di un ospite da parassitare. Nei mesi primaverili ed estivi, che vanno da aprile a ottobre, è quindi più frequente cadere vittima del cosiddetto “morso da zecca”.
Il morso della zecca non è di per sé pericoloso per l’uomo,i rischi sanitari dipendono invece dalla possibilità di contrarre infezioni trasmesse da questi animali in qualità di vettori.
Le malattie trasmesse da zecche sono, nell’ambito delle malattie da vettore, seconde solamente al gruppo di patologie trasmesse dalle zanzare come rilevanza epidemiologica.
L’eziologia di queste malattie da vettore comprende diversi microrganismi: protozoi, batteri e virus.
Rimozione della zecca
- la zecca deve essere afferrata con una pinzetta a punte sottili, il più possibile vicino alla superficie della pelle, e rimossa tirando dolcemente cercando di imprimere un leggero movimento di rotazione
- durante la rimozione bisogna prestare la massima attenzione a non schiacciare il corpo della zecca, per evitare il rigurgito che aumenterebbe la possibilità di trasmissione di agenti patogeni
- disinfettare la cute prima e dopo la rimozione della zecca con un disinfettante non colorato. Dopo l’estrazione della zecca sono indicate la disinfezione della zona (evitando i disinfettanti che colorano la cute)
- evitare di toccare a mani nude la zecca nel tentativo di rimuoverla, le mani devono essere protette (con guanti) e poi lavate
- spesso il rostro rimane all’interno della cute: in questo caso deve essere estratto con un ago sterile
- distruggere la zecca, possibilmente bruciandola.
Cosa non fare
- Non utilizzare mai per rimuovere la zecca: alcol, benzina, acetone, trielina, ammoniaca, olio o grassi, né oggetti arroventati, fiammiferi o sigarette per evitare che la sofferenza indotta possa provocare il rigurgito di materiale infetto.