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La grande truffa dell’olio al tartufo

E’ vero che non si può fare un olio aromatizzato al tartufo utilizzando il prezioso tubero? E’ vero che l’olio al tartufo può essere prodotto solo chimicamente?

Come vi ho raccontato nel Podcast 35, Il mercato degli oli aromatizzati si sta pian piano espandendo e dagli iniziali peperoncino, limone e tartufo oggi sugli scaffali del supermercato si possono trovare una quindicina di aromi tra cui funghi, burro, liquirizia, zenzero, in confezioni piccole e pratiche.

Oggi vi parlerò del re degli aromatizzati, probabilmente il più venduto, quello che almeno una volta nella vita abbiamo volontariamente o involontariamente utilizzato: l’olio aromatizzato al tartufo.

Innanzitutto vediamo cos’è un tartufo. Anche se chiamato comunemente “tubero”, il tartufo è il cosiddetto “corpo fruttifero” e cioè il gambo, il cappello, e le lamelle di un fungo che cresce sottoterra; appartengono quasi tutti al genere Tuber, da cui probabilmente nasce la confusione.

I tartufi sono funghi simbiotici e vivono a stretto contatto con le radici di alcune piante, le querce per esempio, traendone benefici reciproci.

Un po’ come i porcini fanno con i castagni.

Ne esistono più di sessanta specie, di cui circa la metà sono in Italia; solo una decina sono utilizzati per il consumo e vengono solitamente divisi per colore (bianco – nero) e per provenienza (Alba, Norcia,..).

La varietà più pregiata bianca è il Tuber Magnatum Pico (comunemente tartufo bianco d’Alba); la più pregiata varietà nera è il Tuber Melanosporum Vittadini (comunemente tartufo nero pregiato di Norcia).

Tutti i tartufi emanano un tipico profumo penetrante e persistente, che si sviluppa a maturazione avvenuta e che ha lo scopo di superare la barriera del terreno per attirare gli animali selvatici che devono spargere le spore contenute e continuare la specie.

In natura l’aroma del tartufo può essere composto da oltre 40 componenti che normalmente non si trovano nella maggior parte dei prodotti esposti sugli scaffali dei supermercati perché utilizzano un aroma ottenuto in laboratorio per via sintetica.

Gli studi gas-cromatografici hanno dimostrato che fra i numerosi composti odorosi esalati dai tartufi, i responsabili del particolare aroma – il cosiddetto “aroma d’impatto” – sono composti dello zolfo, in particolare: in quello bianco il bis(metiltio)metano, in quello nero il dimetil solfuro.

Noi focalizzeremo la nostra attenzione sul bismetiltiometano, la molecola che caratterizza quasi il 90% dell’aroma nel tartufo bianco: proprio per questo motivo è l’agente chimico maggiormente selezionato in laboratorio perché è in grado da solo di conferire al prodotto a cui lo si aggiunge un profumo e un sapore che imitano al 90% quello naturale.

Attenzione: per anni si è detto alle persone di individuare il buon tartufo dall’intensità dell’odore.

Nulla di più sbagliato perché di fronte a una nota più forte di bismetiltiometano si finisce per credere di avere tra le mani un tartufo di maggiore qualità e l’assenza di leggi che vietino di applicarlo agli alimenti, ha fatto sì che ci siano in commercio tartufi aromatizzati… al tartufo!

Il Flavour, come ho più volte spiegato nei precedenti podcast, deriva da alcuni composti chimici presenti nei prodotti alimentari che conferiscono una precisa caratteristica sensoriale.

È frutto della combinazione di odore, gusto e sapore.

Spesso l’industria alimentare interviene aggiungendo aromi di sintesi che integrano o sostituiscono il sapore magari perso durante la lavorazione industriale o magari non aggiunto naturalmente perché troppo costoso o non disponibile.

Succede con moltissimi dei prodotti in commercio: per esempio nel caso della fragola si usa il furaneolo, per la cipolla il disolfuro di allilpropile, per il prezzemolo l’apiolo.

D’altronde se pensiamo che a fronte di 12.000 tonnellate di vanillina solo 120 tonnellate provengono dalle bacche e la restante parte è sintetizzata in laboratorio… e 120 tonnellate non basterebbero nemmeno per la richiesta dei cioccolatai italiani.

Torniamo alla domanda iniziale: si può fare l’olio aromatizzato al tartufo usando il prodotto fresco?

Si, certamente, con prodotto freschissimo e pulitissimo (si possono rimuovere i residui di terra con uno spazzolino da denti): grattugio il tartufo e lo verso nell’olio a temperatura ambiente e lo imbottiglio; lo lascio riposare per un paio di giorni affinché si insaporisca bene e poi lo utilizzo.

Ricordate che è fondamentale utilizzarlo entro e non oltre i successivi 5/7 giorni e non andare più in là con la conservazione perché potrebbe essere pericoloso (ascolta il podcast 35 per avere tutti i dettagli).

E questa impossibilità di lunga conservazione ci fa capire che non è possibile produrre olio aromatizzato al tartufo naturale da vendere sugli scaffali del supermercato. 

Si potrebbe obiettare: ma in commercio ci sono oli con scaglie di tartufo all’interno. Oppure: si potrebbe essiccare il tartufo e usarlo per aromatizzare l’olio.

Si, è vero, si possono fare queste cose, ma il tartufo si comporta un po’ come una patata (sto semplificando molto): nella disidratazione perde quasi tutti i suoi componenti aromatici e quindi l’effetto è più scenografico che altro.

Quasi sempre nei prodotti confezionati dove viene inserita una minima dose di tartufo si fa un trattamento con una generosa  quantità di aroma di sintesi prima della liofilizzazione: il costo per il produttore è di pochi centesimi di euro, perché si scelgono scarti di tartufo estivo poco pregiato, e il risultato è garantito perché  il consumatore è convinto di  acquistare un “olio al tartufo” ed è disposto a pagare molto più rispetto al costo di un olio privo di scaglie di tartufo disidratato.

Un test che si può fare – senza valenza scientifica, ovviamente – è quello di sfregare il pezzetto di tartufo su un pezzo di patata o anche su un po’ di pasta (penso a quelli per esempio che si trovano nelle confezioni di riso, che è facile usare per la prova).

Se prenderanno l’odore e il sapore del tartufo, si tratterà molto probabilmente di bismetiltiometano.

In caso contrario, potremmo essere ragionevolmente sicuri di mangiare solo tartufo vero.

Alcuni analisti sensoriali hanno poi constatato che quando si tratta di bismetiltiometano, si percepisce un leggero pizzicore accompagnato da un retrogusto insistente, a volte pungente.

È quindi fondamentale leggere dapprima l’etichetta: se c’è scritto “prodotto contenente aroma” o la semplice parola “aroma” vuol dire che all’interno c’è una sostanza ottenuta in laboratorio; se invece c’è scritto “aroma naturale di tartufo” il componente è realmente estratto dal tartufo.

Questo aroma può essere realmente estratto dal tartufo, ma con costi davvero elevati.

È molto più semplice, economico e preciso produrlo in laboratorio a costi decisamente inferiori, partendo per esempio dal petrolio.

Questo ha fatto sì che molti si sono accanititi su una presunta pericolosità di questo prodotto, cosa peraltro non vera, invece di sottolineare il vero problema: oltre a mangiare oli al tartufo all’interno dei quali non vi è presente tartufo, spesso si consumano ottimi tartufi ai quali viene aggiunto, in moltissimi ristoranti, del bismetiltiometano, per aumentarne l’odore: la tendenza dei ristoratori ad acquistare un prodotto di bassa qualità da usare a scopo puramente decorativo, correggendo poi il sapore con un po’ di olio con un aroma di sintesi è una prassi che sta iniziando a prendere piede.

ll bismetiltiometano, è bene sottolinearlo, è un componente chimico che non fa male, non è pericoloso o cancerogeno, o per lo meno non lo è più di quello contenuto all’interno del tartufo naturale.

E’ classificato tra le sostanze aromatizzanti “natural identiche”, è utilizzabile in tutti gli alimenti non essendo presente in alcun elenco limitativo ed è stato riconosciuto come sostanza sicura nella catalogazione americana.

Nonostante moltissimi raccoglitori e consorzi di tutela stiano puntando sulla sua pericolosità, in realtà non ci sono prove scientifiche nette e chiare sulla nocività del bismetiltiometano. 

Capita a volte che, dopo averne fatto uso, alcune persone stiano male di stomaco. E’ probabile che ciò sia dovuto al vettore e alla quantità: per esempio olio d’oliva di pessima qualità al quale viene la molecola chimica viene aggiunto in quantità che periodicamente diventano sempre più alte.

Alcuni studi scientifici hanno dimostrato che la sensazione di pesantezza (quando si continua per ore a sentire nello stomaco il sapore del tartufo) lasciata dall’olio aromatizzato possa dipendere anche dal modo in cui il bismetiltiometano viene sintetizzato in laboratorio.

Esiste un metodo scientifico per verificare eventuali frodi, messo a punto in Italia dal gruppo di ricerca coordinato dal professor Luigi Mondello (Università di Messina, Pisa e Roma), che, isolando dal tartufo bianco naturale il bis(metiltio)metano ha scoperto che contiene carbonio-12 e carbonio-13 in un rapporto unico, determinato dall’ambiente in cui il fungo è cresciuto.

Anche la versione chimica contiene un rapporto del carbonio unico, ma è determinata dalle origini delle materie prime con cui è stato sintetizzato, e quindi diverso da quello del prodotto fresco.

La ricerca ha mostrato che i tartufi bianchi naturali hanno una percentuale maggiore di carbonio-13 rispetto all’aroma del prodotto di sintesi, una differenza abbastanza importante, facilmente distinguibile tra i due prodotti.

Non voglio qui demonizzare questo tipo di condimento, ci mancherebbe.

Voglio solo far capire che la fotografia di uno stupendo tartufo bianco in etichetta non garantisce che all’interno ce ne sia e se nella bottiglia trasparente (che sappiamo quanta ossidazione produce all’olio) intravedo qualche pezzettino di tartufo è con tutta probabilità un economico e poco saporito scorzone estivo, messo per dare nobiltà al prodotto unitamente ad alte quantità di bismetiltiometano, per dare al preparato quell’odore fortissimo di tartufo.

Aticolo redatto da : Gocce d’Olio
v. 2 Giugno 11
24065 Lovere BG
PI: 02358690160
+39 035 983 400
oliveoildrops@gmail.com

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La coltivazione del tartufo in Nuova Zelanda

Le ricerche sulla coltivazione del tartufo nero (Tuber melanosporum) in Nuova Zelanda iniziarono nella metà degli anni 80’. Per motivi di quarantena non fu possibile importare piante micorrizate dall’Europa così si iniziò a produrle in loco, avendo cura di evitare qualsiasi contaminazione con funghi ectomicorrizici estranei.

La coltivazione del tartufo in Nuova Zelanda. Annales confederationis Europaea Mycologiae Mediterraneensis. XII Giornate Micologiche della CEMM, Norcia 7-13 novembre 2004. Unione Micologica Italiana ed., Bologna

ZAMBONELLI, ALESSANDRA;BONUSO, ENRICO;IOTTI, MIRCO; 
2004

Le ricerche sulla coltivazione del tartufo nero (Tuber melanosporum) in Nuova Zelanda iniziarono nella metà degli anni 80’. Per motivi di quarantena non fu possibile importare piante micorrizate dall’Europa così si iniziò a produrle in loco, avendo cura di evitare qualsiasi contaminazione con funghi ectomicorrizici estranei. Il primo tartufo fu trovato il 29 luglio 1993, in una tartufaia coltivata di cinque anni situata vicino a Gisborne, nella costa est dell’isola del nord. Attualmente in Nuova Zelanda ci sono sette tartufaie in produzione e sono state realizzate più di cento tartufaie di T. melanosporum sparse in tutto il paese.

Si stanno inoltre conducendo ricerche sulla coltivazione di Tuber aestivum, Tuber borchii e di altre specie di funghi ectomicorrizici eduli di potenziale interesse economico.

Ringraziando

Tutti gli autori

UNIBO.IT

Zambonelli A.; Bonuso E.; Iotti M.; Hall I.R. .

link a questo documento:

https://hdl.handle.net/11585/47131

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Il Prof. Pacioni Giovanni scopre una nuova specie di tartufo

Si tratta del Tuber Suave, rinvenuto nella provincia de L’Aquila e spesso scambiato per il Tuber Uncintum.

Ripubblico volentieri questo articolo dell’amico Giovanni che è sempe presente alle domande e interrogativi di noi comuni tartufai nel determinare ritrovamenti delle nostre uscite . Grazie Giovanni

Di seguito l’articolo scientifico pubblicato sulla prestigiosa rivista “Jounal of Fungi”.

jof-07-01090-T.mesentericum-group

Fonte :https://www.pacioniconsulenze.com/chi-siamo/

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Rivista ufficiale del tartufo italiano, È uscito il primo numero del 2023

Filippo Polidori, Food Guru, l’ Accademico del tartufo per il 2023, lancia il messaggio insieme ai sommi maestri e gli eroici chef: «Magnifichiamo le doti del tartufo tutto l’anno».

Siamo di fronte ad un momento particolare del mondo del tartufo, dove vogliamo smitizzare l’idea di un singolo tartufo opulento ma parlare di tartufi italiani 12 mesi all’anno e quindi in questo numero di Accademia del Tartufo nel Mondo, il primo del 2023, raccontiamo decisamente il tartufo tutto .Abbiamo nominato Filippo Polidori, Food Guru, come Accademico del tartufo per il 2023, bbbiamo il grande patrimonio culturale di avere con noi due redattori che sono i 2 massimi Maestri viventi della cultura del tartufo assoluta nel mondo: Gérard Chevalier e Mario Palenzona e abbiamo indicato i 5 chef Ambassador del tartufo marchigiano nel mondo, uno per provincia, affinché dalle Marche parta un messaggio assoluto e differente: il tartufo è un grande calamitatore di benessere turistico, culturale, enogastronomico e ambientale. Valorizziamolo 365 giorni l’anno.

“Italia a Tavola è da sempre in prima linea per garantire un’informazione libera e aggiornamenti puntuali sul mondo dell’enogastronomia e del turismo, promuovendo la conoscenza di tutti i suoi protagonisti attraverso l’utilizzo dei diversi media disponibili”

Alberto Lupini

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Quanto costa una pianta di tartufo bianco d’alba

Piemonte terre di tartufi

Unica in tutto per quanto concerne il tartufo, la regione Piemonte ha riaperto i bandi per la tuela delle piante che producono il prezzioso tubero il Bianco d’Alba.

Ma per cercare il tartufo sotto a queste preziosissime piante, oltre al cane ci si deve preparare ad un esame teorico e passarlo a pieni voti.

Per praticare la ricerca e la raccolta del tartufo occorre essere muniti di apposito tesserino di idoneità. Il rilascio del tesserino avverrà sulla base di un esame durante il quale il richiedente dovrà dimostrare alla Commissione competente la propria idoneità con la conoscenza, in particolare, delle norme nazionali e regionali che regolano la ricerca, la raccolta e il commercio dei tartufi freschi. L’età minima dei candidati non deve essere inferiore ai 14 anni. Le competenze in materia di rilascio e rinnovo decennale dei tesserini sono attribuite alle Amministrazioni Provinciali, le quali definiscono anche annualmente il calendario degli esami.

Ma per ritrovarci a settembre muniti di tesserino negli stessi habitat di cerca, fondamentale è il contributo dei conduttori di terreni che hanno la possibilità di tutelare le proprie piante con un particolare contributo della Regione Piemonte, ecco come fare per averlo

Indennità per la conservazione del patrimonio tartufigeno

Possono presentare domanda di ammissione al contributo i proprietari o possessori di terreni, siti in Regione Piemonte, sui quali siano radicate piante produttrici di tartufo bianco d’Alba – Tuber magnatum Picco.
Le piante che, se riconosciute produttrici di Tuber magnatum Picco, danno diritto all’indennità sono le seguenti latifoglie:

  • Querce: farnia (Quercus robur), rovere (Quercus pætrea), roverella (Quercus pubescens), cerro
  • (Quercus cerris);
  • Pioppi: pioppo nero (Populus nigra), Pioppo bianco (Populus alba), Pioppo tremolo (Populus tremula), Pioppo ibrido
  • Salici: salicone (Salix caprea), salice bianco (Salix alba), salice da vimini (Salix viminalis)
  • Tigli: tiglio nostrale (Tilia platyphillos), tiglio selvatico (Tilia cordata),
  • Carpini: carpino bianco (Carpinus betulus), Carpino Nero (Ostrya carpinifolia);
  • Nocciolo (Corylus avellana).

La domanda di indennità è presentata dal conduttore, proprietario o possessore dei terreni nei quali sono radicate le piante tartufigene oggetto di conservazione

Tutte le info sul sito della Regione Piemonte : https://servizi.regione.piemonte.it/catalogo/portale-tartufi